La Preghiera dell'Alpino

Preghiera dell'Alpino

 

 

 

Sulle nude rocce, sui perenni ghiacciai,

su ogni balza delle Alpi, ove la Provvidenza ci ha posto

a baluardo fedele delle nostre contrade,

noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto,

eleviamo l'animo a Te, o Signore, che proteggi

le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani,

 e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi.

 

Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi,

 salva noi, armati come siamo di fede e di amore.

Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta,

 dall'impeto della valanga; fa che il nostro piede posi sicuro

 sulle creste vertiginose, sulle diritte pareti,oltre i crepacci insidiosi,

 rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria,

 la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana.

 

E Tu, Madre di Dio, candida più della neve,

Tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza

e ogni sacrificio di tutti gli alpini caduti,

Tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza

di tutti gli alpini vivi ed in armi,

Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni e ai nostri Gruppi.

 

Così sia.

 

La storia della Preghiera dell'Alpino

Riteniamo cosa utile informare i nostri lettori sulla genesi della Preghiera dell alpino, oggi al centro di un positivo dibattito che ha preso le mosse da una lettera di don Valentino Quinz, già cappellano del 6° Alpini, apparsa nel numero di settembre 2005 nella rubrica Lettere al direttore.

L’articolo è un libero adattamento del pezzo comparso in Genova alpina nel numero di maggio agosto 2005: ripreso da un precedente articolo apparso su 'La più bela fameja' della sezione di Pordenone a fine 2004

  • 1947: ritrovamento nell’archivio della famiglia del colonnello Gennaro Sora, deceduto nel 1949 dopo un avventurosa vita spesa al servizio della Patria sull Adamello, alle isole Svalbard (impresa Nobile), in Africa Orientale, in prigionia in Kenia, di una lettera alla madre in data luglio 1935. In essa compare una sua preghiera elaborata per gli alpini dell’Edolo, battaglione da lui comandato, nella quale numerose sono le frasi poi diventate patrimonio di tutti gli alpini in armi e in congedo.
  • Nel 1943 tale preghiera, quasi nella forma attuale, circolava tra gli alpini del battaglione Val d'Adige, per l'interessamento del cappellano, padre Enrico Bianchini. Il testo, datato 1° settembre 1943 è conservato presso il Centro Studi ANA (segnalazione in data 4 luglio 2006 del col. alpino ris. Gioacchino Gambetta della sezione di Tirano).
  • 11 ottobre 1949: don Pietro Solero, grande figura di sacerdote, di alpino e di alpinista, cappellano del 4º alpini, in un incontro con l ordinario militare, mons. Carlo Alberto Ferrero di Cavallerleone, propone di Ritoccare e di rimodernare la preghiera e di concedere la facoltà di recitarla dopo la Messa in luogo della Preghiera del Soldato .
  • 21 ottobre 1949: mons. Ferrero approva e il vicario generale, mons. Giuseppe Trossi comunica il nuovo testo della preghiera a tutti i comandanti alpini. Essa è quella nota a tutti noi e tuttora recitata dagli alpini in congedo iscritti all ANA.
  • 1972: mons. Pietro Parisio, cappellano capo del 4º Corpo d Armata alpino, chiede e ottiene dall ordinario militare, mons. Mario Schierano, di sostituire alcune frasi ritenute non più consone al momento che l Italia sta vivendo. Perciò il Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana... diventa Rendici forti a difesa della nostra Patria e della nostra Bandiera .
  • 15 dicembre 1985: il testo così modificato è definitivamente approvato per cui la nuova Preghiera dell alpino diventa ufficiale.
  • Metà anni 90: il presidente Caprioli chiede e ottiene dal CDN che la preghiera sia recitata, nella forma originale del 1949 quando le cerimonie sono celebrate in presenza di soli iscritti all ANA e nel testo modificato nel 1985 in presenza di reparti alpini alle armi che non possono evidentemente contravvenire a ordini.
  • 6 settembre 2007: l’Arcivescovo Ordinario Militare, Mons. Vincenzo Pelvi, ha reinserito, nel testo della preghiera modificata nel 1985 (quella, per intenderci, recitata dagli alpini in servizio) il riferimento alla  “nostra millenaria civiltà cristiana”. Per gli alpini in servizio, dunque, il ““Rendici forti a difesa della nostra Patria e della nostra Bandiera” diventa “Rendici forti a difesa della nostra Patria, della nostra Bandiera, della nostra millenaria civiltà cristiana”.

Da: http://www.ana.it/page/la-storia-della-preghiera-dell-alpino70

Vedere anche: http://www.alpini-pordenone.it/?q=node/81

 


Il Cappello Alpino

IL NOSTRO CAPPELLO

di Aldo Rasero

 

Sapete cos’è un cappello alpino?

È il mio sudore che l'ha bagnato e le lacrime

che gli occhi piangevano e tu dicevi:

"Nebbia schifa!".
Polvere di strade, soli di estati, pioggia e

fango di terre balorde gli hanno dato il colore.
Neve e vento e freddo di notti infinite, e pesi

di zaini e sacchi, colpi d’armi e impronte di sassi, 
gli hanno dato la forma.
Un cappello così hanno messo sulle croci

dei morti, sepolti nella terra scura, lo hanno

baciato i moribondi come baciavano le mamme.
L'han tenuto come una bandiera.
Lo hanno portato sempre.
Insegna nel combattimento e guanciale per le notti.
Vangelo per i giuramenti e coppa per la sete.
Amore per il cuore e canzone di dolore.
Per un alpino il suo cappello è tutto.




LA STORIA DEL CAPPELLO ALPINO


"Estratto dell'articolo scritto per “Aquile in Guerra, n. 18 – 2010 - Società Storica per la Guerra Bianca” per ilcentenario del cappello alpino  1910-2010 – (www.ccervo.it)


E’ adottato per la truppa dei reggimenti alpini un cappello di feltro grigioverde che completa la nuova uniforme da campagna stabilita per dette truppe. Detto capello consta: di un filtro, di una fodera, di una fascia di allula, di 4 occhielli, di una soprafascia, di un cordoncino, di un porta nappina e ii quali sono per gli alpini: la nappina, la penna ed il fregio, e per l’artiglieria da montagna: la coccarda, la penna ed il fregio, (…)”

 

Così inizia l'Atto n. l96 del 20 maggio 1910, pubblicato sul Giornale Militare a firma del Ministro Spingardi, che sancisce il cappello in feltro, ma solo per i sottufficiali, i graduati e la truppa dei reggimenti alpini e dell'artiglieria da montagna. Questa disposizione - che commenteremo più avanti nella sua completezza - è frutto di varie trasformazioni ed esperienze che il Corpo degli Alpini ebbe fin dal 1872.

Il cappello alpino non è un mero oggetto avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo per l'uniforme, ma è anche un simbolo significativo per la nostra storia nazionale come lo erano già alcune tipologie di cappelli e berretti dell'Italia risorgimentale. Nel Cappello Alpino c'è anche un po' del loro, se è vero che la Bombetta degli Alpini del 1873 è chiamata pure Cappello alla Calabrese o alla “Ernani” in onore dell'opera celebrata da Verdi fin dal 1844.   

I cappelli sopra nominati avevano creato una moda "sovversiva" che venne bandita addirittura da un decreto del 15 febbraio 1848 a firma del barone Torresani Lanzenfeld, allora direttore generale della Polizia di Milano; nonostante ciò, i cittadini milanesi si beffeggiarono del decreto e modificarono i cappelli "patriottici"; così, giusto per imitare la penna - simbolo di libertà e rimasta sul cappello alpino - sollevarono lateralmente la tesa del proprio copricapo.  Allo scoppio delle Cinque Giornate di Milano, i cappelli sanzionati dal I.R. Decreto ricomparvero numerosissimi sulla testa di tutti, uomini e donne, abbelliti da vistose coccarde tricolori ed ampi piumaggi, diventando popolarissimi. Fra i cappelli più popolari del risorgimento, infine, non possiamo dimenticare quello dei Bersaglieri con le sue piume al vento ideato dallo stesso La Marmora.  Venendo al periodo della fondazione degli Alpini, nel 1872 il Ministro Magnani Ricotti diede impulso a nuove riforme per l'Esercito, interessandosi particolarmente alla nuova uniforme. Pertanto, secondo i principi della riforma Ricotti, le vecchie uniformi dal taglio francese si dovevano sopprimere e le nuove divise dovevano essere comode ed eleganti, avvicinandosi per quanto possibile a quella del borghese cittadino.  Per quanto riguarda i berretti della fanteria, famoso divenne il chepì a due visiere sul tipo di quello dei Cacciatori Sassoni, scherzosamente ricordato come Pentoglio Ricotti. 

  I criteri uniformologici del Ricotti diedero terreno fertile per la formulazione dell'atto n. 69 del 24 marzo 1873 che stabilisce le caratteristiche del cappello alpino rigido incatramato noto a tutti noi come "Bombetta" che però – sorprendentemente - non corrisposero alle aspettative del fondatore Perrucchetti che avrebbe voluto per gli alpini l'uniforme simile a quella dei Cacciatori Tirolesi, ritenuta la più adatta alla bisogna.

La bombetta non subì nemmeno l'influenza di altre due riforme uniformologiche dovute al Ministro  Luigi Mezzacapo nel 1876 e del Ministro Mazè de la Roche nel 1879.  Anzi, la Bombetta fu adottata - almeno stando ad una tavola del Codice Cenni - anche dal Tiro a Segno Nazionale, fondato nel 1878, dalla Guardia di Finanza operante in montagna e da alcune Guide Alpine, segno che divenne veramente molto popolare, nonostante la poca praticità. Per vedere un significativo cambiamento del copricapo alpino si deve, dunque, aspettare l'esperimento iniziato nel 1906 per la divisa del Plotone Grigio ad iniziativa privata del noto sig. Brioschi. Tuttavia si deve precisare che al preparazione dell’esperimento fu eseguito da un team di personalità. Fra queste preme evidenziare il Tenente Alberto Bianchi, dottore in chimica che creò il giusto melange del panno e colorò le pelli; il Cav Rosati, sarto, che diede il taglio pratico ed estetico alla divisa. Il Brioschi portò dagli USA il poncho e il cappello molle (che però ridusse un po’ nella tesa).

L’uniforme del Plotone Grigio, tuttavia, non fu di un solo modello: infatti dal 1906 al 1907 ben tre Compagnie di alpini del Battaglione Morbegno vennero sottoposte ad esperimento, con copricapo, zaini e buffetterie una diversa dalle altre. Vi furono numerose opinioni di militari - anche famosi - a riguardo del copricapo; alla fine si crearono "due partiti contrapposti": uno pro cappello floscio l'altro pro berretto; di comune, risultarono poco gradite le penne, i fregi, le nappine e tutto ciò che non era mimetico e poco pratico. Così nuovamente il Tenente Generale Giuseppe Perrucchetti, da Torino sentenziò il 23.6.1907 sul Cappello:

" ... Sarei solo in dubbio per dare le preferenza al cappello, piuttosto che ad un berretto, munito di alette da applicarsi a guisa di soggolo. Fra la tormenta, le bufere, il nevischio, io ho trovato un gran beneficio, soprattutto nella cattiva stagione a far uso di tale berretto, mentre è facile con una copertina di tela, foggiata a copri nuca, di ripararsi anche dal sole senza aver bisogno di due oggetti, capello e berretto per copricapo ...”

facendoci capire che per praticità sarebbe stato meglio utilizzare solo un berretto floscio senza orpelli vari. Certo che tali osservazioni dette proprio dal fondatore delle truppe alpine sono – per gli Alpini d’oggi – affermazioni shoccanti.  

Più sentimentale, ma che vide giusto, fu il Capitano Vincenzo Conforti, V Alpini, Morbegno che affermò il 13.06.1907:

"Che il cappello sia molle non solo, ma provvisto di larghe falde le quali permettono di riparare la testa dal sole e dalla pioggia.  Che il cappello stesso sia provvisto di penna (mi duole di non essere d’accordo in questo col buono e simpaticissimo Brioschi). La penna – a pare mio – rende il cappello poeticamente più bello e soprattutto essa è desiderata dai nostri montanari, come lo prova il fatto che tutti indistintamente i nostri Alpini, appena possono, si provvedano a loro spese di enormi penne, sia per andare a passeggio che per recarsi al proprio paese in permesso.”

…….

Finiti gli esperimenti sulla divisa grigia e approvato il colore grigio verde, colore che più si adattava al colore del "terreno" italiano dalla Sicilia alle Alpi, il 20 maggio 1910, come riportato all'inizio di questo scritto, "nasce" il cappello alpino in feltro grigio verde.

CosÌ come è descritto nella circolare, il feltro doveva essere dipelo di coniglio (il lapin, d'allevamento, o il garenne, selvatico), ma vedremo che invece non fu sempre cosÌ: la produzione in tempo bellico ricorse al feltro in lana merinos.

……..

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Il modello della truppa e dei sottufficiali era di feltro di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta ornata da una fascia di cuoio intorno alla base, e aveva la tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata. Sul lato sinistro la penna era inserita in una nappina di lana con il colore del battaglione, dove il modello degli ufficiali era di feltro di pelo di coniglio, grigioverde, con la calotta ornata da una fascia di seta e da un cordoncino di lana attorno alla base, sempre con la tesa anteriore abbassata e quella posteriore rialzata, la penna era inserita in una nappina di metallo argentato e sullo stesso lato c' erano i gradi a V rovesciata d' argento.

Nel 1912 fu adottato il fregio rimasto in uso sino ad oggi: un'aquila con le ali aperte al di sopra di una cornetta, con il numero del reggimento nel tondino centrale, posta davanti a due fucili incrociati (due cannoni incrociati per gli artiglieri da montagna).

Dalla prima guerra mondiale in poi ci furono solo cambiamenti poco rilevanti, relativi soprattutto al fregio, alla nappina e ai materiali di cui erano costituiti. La forma del cappello resta invariata e caratteristica, tale da diventare un simbolo di appartenenza e un motivo di orgoglio per tutti gli alpini.

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I Cappellifici civili coinvolti nelle fornituremilitari dal 1911 al 1918.


La lavorazione del feltro era particolarmentesviluppata nelle seguenti aree:Alessandria, Monza, lntra,Biellese per il feltro di lana e di pelo; Pescia, Arezzo e Montevarchi per la lavorazione dei cappelli di paglia e di feltrodi lana.

Le ditte che produssero il cappelloalpino fin dal 1910, furono:


CAPPELLIFICIO ALBERTINI.

Nacque nel 1862 ad Intra l'unico cappellificioche non subì crisi durante la guerra, anzi: Albertini riesce a vincere per la seconda voltal'appalto per la fornitura di cappelli di feltro grigioverde con contratto regolamentare compresala produzione del "pacco dello smobilitato che verrà dato al soldato a fine guerra. E' dasottolineare dunque che fin dal 1911 l'Albertini ebbe ufficialmente l'appalto per la produzione del feltro per il cappello alpino e per lo stessocopricapo finito. Non solo: il materiale che usò per i cappelli alpini fu il pelo di coniglio anche con lerestrizioni della guerra .

La fabbrica vincerà un terzo appalto per forniture militari nel 1938 producendo sempre il cappello alpino che rimase sempre un prodotto d'eccellenza. Dopo il secondo dopoguerra, nel 1948 la produzione dei cappelli è trasferita in Colombia e Venezuela e nel 1951, causa la concorrenza inglese, è costretta a chiudere.

A Ghiffa, esiste oggi un interessante museo del Cappello che raccoglie l'attrezzatura proveniente dall'Albertini e della Panizza. In ampie vetrine, fra centinaia di cappelli, spicca anche un cappello alpinomodo 1910!


CAPPELLIFICIO MONZESE SA

Nato nel 1905 dal Cappellificio Carozzi, fu ilsecondo cappellificio ufficialmente autorizzatoa produrre cappelli di feltro grigioverde per l'esercito, soprattutto in lana merinos durante la guerra.E - infatti - fin dal 1911 che ottiene in esclusivacon Albertini di lntra, la commessa per ilnuovo modello di cappello alpino. Il Giornale dei Cappellai, organo di matrice sindacale dei lavoratori cappellai di Monza, definì questa commessa come "un capitolato d'oneri per un copricapodi foggia boccaccesca o studentesca".

Anche durante la Il Guerra mondiale la produzione del cappello alpino è ottenuta in esclusiva. La Ditta, fra alterne vicende del secondo dopoguerra, è costretta ad essere messa in liquidazione e chiudere nel 1978.

Anche a Monza esiste il museo Etnografico che raccoglie documentazione sulla produzione del Cappello.

Queste dunque furono le uniche ditte che vinsero l'appalto per la produzione del Cappello Alpino datruppa e da Ufficiale (naturalmente quest'ultimo venne confezionato anche da altri piccoli cappellifici e negozi).


Ricordiamo infine la SOCIETÀ ANONIMA COOPERATIVA CAPPELLAI del Biellese(CERVOdal 1921): non direttamente coinvolta per la produzione del Cappello Alpino del 1910, é - invece - oggi l'unica fornitricedel Cappello Alpino sia per Truppa che per Ufficiali dell'Esercito. Per il cappello alpino da ufficiale il feltro utilizzato è in pelo di coniglio, mentre è dubbio e scadente - purtroppo - il materiale per il modello da truppa. Con l'internalizzazione del mercato e il ribasso dei costi a scapito della qualità, si rimpiangere sempre di più la lavorazione del "vecchio" Cappello Alpino del 1910 Made in Italy.

Il Cappello Alpino del 1910 è ancora oggi, vagamente simile nella forma, portato dalle nostre truppe da montagna con la medesima fierezza dei nostri veci.

(Cappellificio Cervo S.r.l. Via Libertà, 16 - 13816 Sagliano Micca (BI) Italia T. +39 015 473635 F. +39 015 2476670 service@barbisio.it)


La Penna Nera

PENNA NERA

di Aldo Rasero

 

Esile lembo di un’ala

che sa di altezze infinite,

di spazi sconfinati,

di dominio dei monti

e del piano.

 

Simbolo dei soldati dell'Alpe

perpetui nel tempo

sibili di tormente,

furor di battaglie,

pie di opere buone,

calvari di penne mozze.

 

Segno imperituro

di forza, di coraggio,

di sacrificio, di valore,

piantata sul cappello alpino,

svetti nel cielo come bandiera

vecchia e cara penna nera.


Il mulo

 

LA PREGHIERA DEL MULO

 

Coloro che fino all’anno 1993 hanno servito come Artiglieri da Montagna o Alpini dei Reparti Salmerie non possono dimenticare questo “compagno” fedele delle loro scarpinate: fratello mulo.

 

Non parliamo poi dei nostri gloriosi Reduci per i quali in molti casi questo tenace “fratello” è stato fondamentale per la loro sopravvivenza.

 

Per rispolverare un po’ i ricordi rimandiamo a questo ottimo link:

 

http://www.noialpini.it/preghiera_mulo.htm

 


Prima marcia alpina

di Piero Jahier, poeta e tenente istruttore degli alpini

 

 

Uno per uno, bastone alla mano, e alla salita cantiamo.

 

Se chiedi le reni rotte alla mina, se chiedi il polso della gravina, se chiedi il ginocchio piegato a salire, se chiedi l’amore pronto a patire: son io, l’alpino, rispondiamo, e all'adunata corriamo.

 

Ma la montagna, alpino, è franata, ma la tua tenda, alpino, è sparita: alpino, tutta l’acqua è seccata, alpino, il vetrato gela le dita; ma la tua penna è folgorata. ma la gran notte di nebbia è sparita.

 

Uno per uno, corda alla mano, dove non si passa, passiamo.

 

E la balma di roccia si ricoprirà e l’acqua di neve ci disseterà; la penna il fulmine domesticherà, la nebbia il sole l’avvamperà quando l’alpino passerà.