La storia


LA CAPPELLA DELLA PACE - MADONNA DEL DON


Padre POLICARPO DA VALDAGNO (al secolo Narciso Crosara) era un frate cappuccino modesto, dal sorriso limpido di chi è in pace con se stesso, con gli uomini e con Dio. Gli anni funesti dell’ultimo conflitto mondiale lo strapparono alla pace del suo convento e fu buttato nell’inferno della guerra in Russia quale Cappellano degli Alpini del Battaglione TIRANO - Divisione Alpina TRIDENTINA

NOVEMBRE 1942 – IL RITROVAMENTO DELL’ICONA

 

Dal fronte russo all’Italia: una commovente pagina di storia degli Alpini

 

Una delle più belle pagine di storia di tutti i cent’anni di vita delle Penne nere è quella che racconta l’origine della Ma­donna degli Alpini, riconosciuta in Italia e all’estero con il nome “Madonna del Don”.

Questa icona diventa viva testimonianza della fede puris­sima degli Alpini, vissuta nelle trincee, nelle gelide ridotte del fronte, negli aspri combattimenti nella steppa russa.

 

Trascrizione del racconto autografo di Padre Policarpo Narciso Crosara

“Molti giornali e riviste parlarono della Madonna del Don pellegrina per le vie d’Italia, dando risalto a questa fede cristallina come le acque sorgenti dalle rocce dei loro monti, ma pochi hanno fatto notare i rapporti uma­ni dei nostri alpini con le popolazioni ucraine che non vedevano nelle penne nere un nemico, ma il soldato che faceva la guerra senza odio e senza rancore. La Madonna del Don ha origine da uno di questi episodi di umana comprensione.

Ogni tanto giungeva dalle retrovie frettolosa e scompariva fra le isbe del villaggio, una simpatica vecchietta. Girava tra le macerie delle isbe abbandonate, cercando qualcosa che soltanto lei sapeva. La guerra era passata per di là seminando disordine e devastazione. Il villaggio era a due passi dal nemico accampato sull’altra riva del fiume. In quella donna ogni alpino vedeva la sua mamma, lasciata nel paese lontano a piangere e a pregare per lui. Passava in mezzo agli alpini senza timore; guardava loro con materna bontà ed il loro “pope” con venerazione e rispetto.

Non vedete che questa gente povera e sconsolata se ne va di corsa ... Che volete che vengano a fare ... hanno qualche straccio tra le rovine” rispondeva il comandante del Battaglione, il Magg. Zaccardo dal cuore grande e magnanimo, a chi gli faceva osservare queste capatine dei russi nel villaggio in prima linea.

        Un giorno la donna non tirò diritto, di corsa, come al solito, ma si fermò davanti al “pope” dalla penna nera sul cappello:

        “Non so - gli disse sottovoce quasi temesse di farsi sentire - non so come mostrarti la mia riconoscenza per tutto il bene che fai alla nostra gente. Là tra le macerie della mia isba c’è una icona che mi è tanto cara. Vieni, aiutami a levarla, te la dono. Nelle mani tue è al sicuro più che in qualsiasi altro luogo“.

        Io sapevo che le icone della Madonna erano per il popolo russo qualcosa di veramente sacro. Per antichissima tradizione alla figliola che si sposa la mamma, come se fosse un rito sacro singolare, offre una icona, affinché nella nuova isba ne diventi l’angelo tutelare.

        Ci incamminammo verso il grosso del villaggio che dà nella balka che si apre verso il fiume, quando scorsi alcuni alpini farmi segno di attenderli. Venivano affannati in cerca di me. Arrivarono con il fiato grosso:

        “Vieni . C’è una bellissima Madonna laggiù …“ - indicandomi un gruppetto di isbe - “Vieni, cappellano. Vieni a prenderla tu“ .

        Risposi che la portassero nella loro postazione. Sarei andato a vederla più tardi . Gli alpini insisterono:

Il tenente ha detto che devi venire tu a raccoglierla …”.

        Mi indicarono l’isba verso la quale mi stavo incamminando con la buona vecchietta. Quale non fu la mia sorpresa quando mi accorsi che l’isba, diventata un cumulo di rovine, era quella della donna e l’icona, che spuntava da quel groviglio di calcinacci, serramenti e travi era la stessa icona indicata dagli alpini .

        La donna me la consegnò. Mi pareva che le mani le tremassero e la voce fosse rimasta in fondo al cuore … Quel volto di Madonna mi apparve tanto diverso dalle solite icone e tanto simile alle belle Madonne dei nostri paesi.

In quel momento mi parve di vedere là presenti, stretti intorno alla sacra icona, due popoli, in guerra tra di loro, sentirsi fratelli, uniti nello stesso amore per la Madre di Dio, in un’ora di odio e di sangue ...

La mia isba ancora risparmiata dalla guerra, poi la ridotta nella Balketta dei Kirpinski diventarono cappella, convegno degli alpini.

Qui la venerata icona ebbe il suo primo altare, in prima linea, e vi rimase finché cominciarono a giungere al Comando Battaglione notizie preoccupanti.

I carri armati tedeschi di appoggio alla nostra linea un bel dì scomparvero ... ma dall’altra sponda del fiume giungeva a notte piena il rumorio crescente dei grossi cingolati russi.

Il gelo stringeva nella sua morsa la steppa e le sue rovine. Il Don agghiacciava a prova di bomba. I pattuglioni nemici attaccavano sempre più audaci, spingendosi fin sotto le postazioni. Le rive del fiume rintronavano dagli scoppi degli obici pesanti e del fragore delle katiuscie.

                Un alpino con lo zaino in spalla arriva alla mia ridotta. Spinge la testa entro la porticina sconnessa:

Padre, ti saluto. Vado in Italia... - aggiunse visibilmente commosso - “Ho la mamma che sta male! Prega per lei; le porterò la tua benedizione ...”.

Fu un attimo passarmi davanti gli occhi la dolce figura di mia madre ... Feci entrare l’alpino. Staccai dalla parete di terra la sacra icona e gliela consegnai.

Ti manda la Provvidenza! Portala a mia madre. Tu hai la fortuna di ritornare in Italia, noi non usciremo da questo inferno. Dille che la custodisca per tutte quelle povere mamme che non vedranno il nostro ritorno: così sarà loro di conforto, perché davanti a Lei hanno pregato i loro figlioli.”

Così partì dal fronte per l’Italia l’icona, portandosi via il nostro cuore.

 

Non ricordo il giorno, ma penso fosse la metà di dicembre 1942 quando gli alpini incominciarono a buttare giù pagine di sangue e di eroismo quali nessun reparto ha scritto nell’ultima guerra”.

Icona della Vergine Addolorata - Mestre
Icona della Vergine Addolorata - Mestre

Padre Policarpo, benché ferito e stremato dalle privazioni, a fine guerra fu tra i pochi che sopravvissero al calvario della ritirata e alle atroci sofferenze del la­ger. Quel piccolo Cappellano alpino fece talmente bene il suo apostolato che si trovò decorato al valor militare. Rimpatriato nel 1945, ebbe la gioia di riab­bracciare la vecchia madre e di ritrovare l’icona con l’immagine della Madonna Addolorata. Quale “fedele mulo” della Madonna, come egli stesso con tanta umiltà si definiva, portò in pelle­grinaggio la materna immagine della Vergine, testimone tanti sacrifici e tante sofferenze, in ottanta Parrocchie d’Italia, per riportare la pace negli animi turbati dalle vicende della guerra.

 

 

MAGGIO 1980 – LA REALIZZAZIONE DELLA CAPPELLA

In occasione della 53^ Adunata Nazionale A. N. A. di Genova, padre Policarpo donò agli Alpini del Gruppo “Sampierdarena - Gen. Antonio Cantore” una pregevole riproduzione dell’icona dellaVergine Addolorata. Da quel momento per gli Alpini di Sampierdarena divenne un impegno d’onore trovare una degna collocazione alla “santa immagine”. Questo proposito incominciò a prendere forma quando il Parroco dell’epoca, il salesiano don Riccardo De Grandis, grande Amico degli Alpini, con il consueto slancio propose di mettere a disposizione la Cappella dove in passato era collocato il fonte battesimale. Quel gesto generoso diede l’avvio a un vero “atto di amore e di fede”: la realizzazione di una CAPPELLA dedicata alla MADONNA DEL DON,in memoria dei CADUTI nella tragica campagna di Russia e in tutti i conflitti e per dare alla città di Genova un TEMPIO dove i congiunti di tutti coloro che non sono ritornati potessero raccogliersi in preghiera davanti all’immagine della Madonna.

Si costituì tra gli Alpini un Comitato Promotore presieduto da Giuseppe Carrena e composto dal capogruppo Sergio Buzzi, dal segretario Silvio Zappa e dai consiglieri Giuseppe Amari, Alessandro Bevegni, Giovanni Gualandi, Giuseppe Omacelli e Giovanni Panario; subito dopo si è scatenata una gara di generosità tra gli Alpini e gli Amici degli Alpini: per mesi e mesi scultori, pittori, artigiani e comuni lavoratori hanno operato con entusiasmo e senza nulla chiedere. Mai impegno ha suscitato tanta sensibilità e tanta creatività.

10 OTTOBRE 1981 – LA DEDICAZIONE DELLA CAPPELLA

La cappella - Per suggerimento di don Riccardo fu intitolata “CAPPELLA  DELLA PACE”. La S. Messa solenne di dedicazione fu concelebrata da padre Policarpo Narciso Crosara, dal parroco don Riccardo De Grandis, dal cappellano sezionale dell’A.N.A. mons. Luigi Borzone, da padre Filippo Pittaluga, parroco della Chiesa di S. Francesco d’Assisi in Genova Bolzaneto e dal salesiano don Vincenzo Colombara, Cavaliere di Vittorio Veneto e socio del Gruppo Cantore.

Nel 1990 la Cappella è stata definita “un Santuario” da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Canestri (*) nel corso della visita pastorale alla Parrocchia.

Il quadro - Il cuore della Santissima Vergine Maria, trafitto da sette spade, porta chiare impronte di mani che a lungo lo hanno devotamente toccato e di labbra che lo hanno baciato. Sopra il soave volto dal mistico atteggiamento sono incise le parole greche “Mater Theoú” - Madre di Dio.

Dal 1994 alla scritta "Venerata nel Santuario dei P.P. Cappuccini/Venezia-Mestre"stampata sulle immaginette della Madonna del Don, su richiesta del Gruppo e con l'autorizzazione del Padre superiore dei Padri Cappuccini di Mestre sono aggiunte le parole “e nella Chiesa di S. Gaetano e S. Giovanni Bosco/Genova-Sampierdarena”.

(*) S. E il Cardinale Canestri é mancato mercoledì 29 aprile 2015 a Roma all’età di 96 anni. Gli Alpini di Sampierdarena lo ricordano riconoscenti quando venne a visitare la nostra “Cappella della Pace” definendola, ammirato e commosso, “UN SANTUARIO”.